Io,
come appassionato non professionista, , dopo aver costruito alcuni
orologi (riproducendone prima alcuni già esistenti, creandone
poi altri) ho incominciato ad accarezzare l'idea di cimentarmi
in qualcosa che rappresentasse una sfida, per dirla come fanno
i più giovani," no limits"! E la mia scelta non poteva
che cadere sull'astrario di Giovanni de Dondi.
La
prima fase è stata caratterizzata da una lunga
ricerca del maggior numero possibile di informazioni
e mi è peraltro apparso subito evidente che se volevo costruire
completamente io l'astrario , senza ricorrere cioè all'ausilio
di officine professionali, con l'attrezzatura di cui disponevo
, dovevo ridurre in scala le dimensioni:non avevo scelta .
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Il massimo diametro ammesso sul mio tornio è 250
mm ed in considerazione che esso coincide approssimativamente
alla metà del diametro della ruota dell'anno , che
è la più grande di tutto il complesso, ho
scelto di adottare la scala 1/2.
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Quadrante di mercurio
(per una verifica delle dimensioni, osservate la loupe
!)
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Seguendo
le indicazioni di Giovanni ho costruito il
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Quadrante
di Venere
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casamento
inferiore , poi quello superiore . A questo punto , dovendo incominciare
a tagliare i denti delle ruote, si è presentato il problema
di quale profilo dare loro .
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Giovanni
non da alcuna specifica al proposito , ma dai disegni si
capisce inequivocabilmente che essi sono di forma triangolare;
solo in alcuni casi egli specifica che essi dovranno avere
la punta arrotondata per cui v'è da supporre che
tutti gli altri debbano avere una forma triangolare.Io temevo
che la minor forza derivante da un peso motore proporzionalmentepiù
piccolo non sarebbe stato in grado, se avessi scelto il
profilo triangolare, di vincere gli attriti che si generano
quando tutti
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vista interna
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vista interna
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gli
indici sono in movimento, ho scelto il profilo epicicloidale,
quello generato dalle moderna frese a modulo, d'altronde
sono certo che se Giovanni avesse potuto disporre di una tale
tecnologia non avrebbe anche lui esitato a farlo.
quasi terminato
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Anche
la costruzione dell'orologio non è stata priva di
complicazioni; infatti non dobbiamo dimenticare che si può
ridurre in scala quanto è prodotto dall'uomo, ma
non ciò che è creato dalla natura.
Così
è ovvio che variando le dimensioni del bilanciere
avrei reso inadeguato, per una corretta misurazione del
tempo, il treno di ingranaggi proposto da Giovanni. Diminuito
infatti il raggio di girazione del bilanciere per mantenere
inalterato il suo momento, e quindi il suo tempo di oscillazione,
avrei dovuto aumentare la massa della sua corona in modo
enorme, snaturandone irrimediabilmente l'estetica.
Ho
risolto il problema variando il numero dei denti di un pignone
e lasciando invariato il rimanente treno di ingranaggi.
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Una
curiosità: ai tempi del de Dondi le viti erano sconosciute
e quindi l'astrario è tenuto assieme da saldature; per
tutte quelle parti che per necessità di assemblaggio richiedono
di poter essere staccate dalla struttura principale, il loro fissaggio
è ottenuto tramite spine o caviglie.
Per
"scrivere" tutti i nomi ed i numeri (il più piccolo dei
quali è alto 38 centesimi di millimetro ) impressi
sull'astrario ho dovuto incidere circa 8000 singoli caratteri.
A
mio avviso il quadrante più bello è quello
che rappresenta il sole: le soluzioni tecniche in esso contenute
sono semplicemente deliziose. Il quadrante più complesso
è quello della luna dove, fra l'altro, ingranano
tra loro due ruote dentate che invece di essere rotonde
hanno la forma di due pere
Come
ho già detto anch'io sono stato costretto ad un paio
di deviazioni, peraltro marginali, dalla descrizione fatta
nel "Tractatus Astrarii" . Come ci ha ricordato l'indimenticabile
Billy Wilder "nessuno è perfetto"!
E non vorrei sembrare iconoclasta, ma tutto sommato anche
Giovanni de Dondi è incorso, io credo,
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almeno
in una svista quando a pagina 29 del Tractatus descrive
un pignone come avente 15 denti , ma lo rappresenta nel
disegno avendone 12 .
Spero
che chiunque sia appassionato di orologeria condivida con me l'immensa
gioia per essere riuscito a soddisfare le motivazioni che hanno
indotto Giovanni de Dondi a scrivere il suo "Tractatus Astrarii"
cioè che qualcun altro riuscisse a realizzare quello che
il suo ingegno aveva concepito.
Desidero
qua ringraziare il mio nuovo amico (spero che anche lui mi consideri
tale) Don Unwin che ha costruito un astrario e che non
ha esitato a fornirmi delle delucidazioni nelle circostanze in
cui gli ho scritto per averne.
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